martedì 6 novembre 2007

नुओवी दोचुमेंती दल पर्लामेंतो EUROPEO

Bioetica



Introduzione:

Quando si parla di Ogm ci si riferisce a qualcosa che tocca le nostre vite, da vicino. Si sta parlando del futuro, infatti, della nostra agricoltura e della nostra alimentazione, della salute umana, di ambiente e di sovranità alimentare, di business e di tecnologia, di scienza e democrazia. Aumentare la nostra conoscenza sull’argomento non è più un’opzione. E’d’obbligo, se vogliamo evitare di ipotecare il futuro delle generazioni future, se vogliamo avere un ruolo decisivo nei processi decisionali, se vogliamo continuare a difendere diritti collettivi inalienabili.Sono troppe le problematiche, i dati, le ricerche, le notizie disponibili sulla materia. Si potrebbe scrivere un’enciclopedia, e in pochi avrebbero il tempo di leggerla. Non credo neppure di poter assumere in questo lavoro un punto di vista “neutrale”. Perchè mi sento di “parteggiare”, di aver scelto di “stare dalla parte di”. Dalla parte di un approccio ecologista, che non ignora la complessità della natura e i suoi equilibri, ma la studia, la rispetta, la tutela. Di un modello di produzione agricola che rimette al centro la terra, i semi, gli agricoltori, le tradizioni, la qualità. Di un modello sociale democratico che permetta ai cittadini di partecipare attivamente alle scelte politiche e al potere politico di non essere soggiogato dalle forze del mercato. Di una scienza al servizio del bene comune, capace di aumentare la conoscenza.
Si parte dalla presentazione del paradigma scientifico che ha reso possibile la modificazione genetica degli esseri viventi e dalla critica alla tecnologia da cui si ottengono gli Ogm. Si prosegue mostrando gli errori dell’agricoltura industriale che ignora e distrugge la biodiversità e l’agrobiodiversità e la correlazione tra questo modello di sviluppo agricolo e quello proposto/imposto con l’introduzione degli Ogm. Infine, si mettono in risalto le problematiche connesse all’uso di Ogm in agricoltura e si descrive la situazione attuale in Europa.


Approfondimento sulla “Bioetica”



Il termine "bioetica" deriva dall’angloamericano bioethics, un neologismo coniato dal medico e oncologo Van R. Potter nel 1970, divenuto successivamente di uso pubblico dopo il 1971, l’anno di pubblicazione dell’opera più importante di questo ricercatore Bioethics, Bridge to the Future.
Nello stesso anno, presso la Georgetown University di Washington D.C., venne inaugurato il Joseph and Rose Kennedy Institute for the Study of Human Reproduction and Bioethics, sancendo l'ufficializzazione di questa parola per indicare un nuovo, (sebbene già delineato da decenni di studi e di letteratura precedenti alla pubblicazione del saggio di Potter) dominio di studi. Il concetto di bioetica subì delle resistenze e delle critiche, ma nel 1978 venne finalmente data alle stampe la Encyclopedia of Bioethics, un’opera che spianò la strada alla diffusione di questa area disciplinare e problematica avviandola verso l’unificazione in un’unica materia, caratterizzata, comunque, dall’esistenza di una matrice interdisciplinare dove Medicina, Giurisprudenza, Biologia, Psichiatria e, ultima ma non in importanza, la Filosofia Morale, contribuiscono allo sviluppo e alla vita di intensi dibattiti, spesso legati a doppio filo con le conseguenze reali di fatti di dominio pubblico o di cronaca, o importanti pronunciamenti di tipo politico (come è avvenuto in Italia con l’approvazione della legge 194, del 22 maggio 1978, sull’interruzione della gravidanza).
Seguendo l’approccio filosofico all’area problematica della bioetica, essa non è altro che "l’etica in quanto particolarmente relativa ai fenomeni della vita organica, del corpo, della generazione, dello sviluppo, maturità e vecchiaia, della salute, della malattia, e della morte. Essa, ovviamente, non è disciplina, che, sia pure nel quadro dell'etica, possa porsi come autonoma e indipendente.". Come è stato fatto osservare da più parti, la bioetica, proprio partendo dal suo intrinseco carattere fondamentalmente interdisciplinare, pur rivendicando la sua novità e la sua dignità all'interno delle discipline etiche non può, sicuramente, essere elevata al rango di "scienza". Infatti, pur attingendo, e costantemente, alle novità e agli aggiornamenti, specie quelli più rilevanti sotto il profilo del loro utilizzo tecnologico, delle scienze empiriche, (in special modo della genetica e della medicina sperimentale) la bioetica è una disciplina di carattere prescrittivo e normativo, e non semplicemente descrittivo come le altre scienze empiriche.
In questo percorso tematico, che attinge esclusivamente ai materiali raccolti dall'EMSF su questo argomento, verranno evidenziate le posizioni di almeno due schieramenti filosofici che, seppure con stili e impostazioni decisamente distinti, si sono cimentati con la disamina di quelle stesse questioni che possono essere considerati, a buon diritto, i problemi più urgenti del dibattito bioetico contemporaneo: lo status ontologico e giuridico dell'embrione, l'aborto, l'eutanasia, la manipolazione genetica, la procreazione assistita, la sperimentazione medica e i suoi limiti, considerata sia dal punto di vista dei diritti dei pazienti o degli ammalati "umani", sia dal punto di vista dei "diritti degli animali".
Dalla parte dell'approccio definito "analitico" (indirizzo prevalente soprattutto nei paesi di lingua e cultura anglosassone) troviamo gli scritti di Ronald Dworkin ( Il dominio della Vita, Edizioni di Comunità, Milano 1994) e Max Charlesworth (L'Etica della Vita, Donzelli, Roma 1996). Sempre sensibile alle influenze analitiche troviamo i contributi di Hugo Tristram Engelhardt jr., autore di un Manuale di Bioetica e di John Harris (Wonderwoman and Superman), uno delle prime, classiche, trattazioni del problema delle manipolazioni genetiche.
Sul versante opposto, quello battezzato dagli analitici come l'indirizzo "Continentale" (a cui affluisce sia il pensiero esistenzialistico, sia quello post - fenomenologico ed ermeneutico), spiccano i contributi di Hans Jonas, e di Dietrich von Engelhardt, concentrati soprattutto sull'importanza del principio responsabilità e sugli sviluppi dell'approccio alla Medicina Umanistica.



Cenni Storici:
La bioetica affonda le sue radici ideologiche sulle rovine della II guerra Mondiale, perché la immensa tragedia e gli orrendi crimini perpetrati dalla politica del terzo Reich, stimolarono le coscienze ad una profonda riflessione, nel tentativo di stabilire delle frontiere di etica e di comportamento che valessero per ogni uomo ed in ogni momento storico.
Vari organismi internazionali enunciarono i diritti inderogabili di ogni uomo:”ogni individuo ha diritto alla vita , alla libertà e alla sicurezza della persona”.

Il codice di Norimberga (1946), la dichiarazione Universale dei diritti Umani dell’ONU (1948), la Dichiarazione di Helsinki (1964) sulle sperimentazioni sull’uomo e la dichiarazione di Tokio sulle torture, contribuirono a creare una normativa sulla prassi medica e i diritti dell’uomo.
Contemporaneamente a questo aspetto giuridico, nacque una riflessione filosofica tesa a giustificare la razionalità e la eticità come “filosofia del diritto alla vita”.
Il papa Pio XII contribuì allo sviluppo di una morale medica che affrontava anche i problemi etici in quanto le soluzioni morali, proposte dal pontefice, trovarono riscontro anche in ambiti non ecclesiastici, imponendosi a livello culturale mondiale.
L’altra grande forza che mosse gli scienziati verso la riflessione morale fu il progresso della tecnologia biomedica.
Negli anni ’70 l’utilizzo delle tecniche del DNA ricombinante, dette un ulteriore impulso alla “domanda” di Bioetica anche su proposta dello srtesso Watson, scopritore della struttura del DNA, il quale, in una celebre audizione al Senato americano, chiese un intervento legislativo a regolare la materia della ricerca genetica.
Negli anni ’70 risalgono anche le prime realistiche ipotesi di fecondazione in vitro ed il dibattito etico sullo statuto dell’embrione.
Sempre nel 1970, l’oncologo Van R.Potter, nella famosa opera “Bioethics: Bridge to the Future” utilizzò per la prima volta il termine Bioetica.
Potter vide nella Bioetica la nuova disciplina in grado di rispondere agli interrogativi morali che lo sviluppo delle biotecnologie e della biomedicina ponevano all’attenzione di medici e pazienti.
Secondo Potter l’etica tradizionale, che in passato era stata considerata un settore degli studi umanistici, doveva essere necessariamente rapportata alla realtà biologica e, di conseguenza, la Bioetica doveva rappresentare un tentativo di sanare la frattura tra scienza della della natura (biologia) e scienza dello spirito (etica).




Biotecnologie

Tra gli esempi più antichi di ciò che oggi consideriamo tecniche biotecnologiche vi è l’utilizzazione di microrganismi per la produzione di birra, vino e altre bevande alcoliche. Molte civiltà del passato scoprirono che le sostanze ricche di zuccheri e di amido talvolta si modificano spontaneamente, generando alcol. Il processo alla base di questi fenomeni venne successivamente chiamato fermentazione e nel XIX secolo il biochimico francese Louis Pasteur dimostrò che esso era determinato dalla presenza di specifici microrganismi.
Il lavoro di Pasteur non rivoluzionò soltanto le tecnologie di produzione della birra e del vino (ad esempio, escludendo alcuni ceppi di microrganismi che avrebbero potuto contaminare i liquidi e causare gravi adulterazioni), ma servì anche come indicazione del fatto che altri composti chimici potevano essere prodotti con l’impiego dei microrganismi. Uno di questi composti è l’acetone, un solvente utilizzato per fabbricare un materiale esplosivo chiamato cordite. Durante la prima guerra mondiale il chimico Chaim Weizmann dimostrò che l’acetone poteva essere prodotto con l’utilizzo del batterio Clostridium acetobutylicum.

Nascita dell'industria Biotecnologica
La messa a punto di una vera e propria tecnica biotecnologica, basata sulla manipolazione del patrimonio genetico di un organismo allo scopo di ottenere un particolare prodotto, è assai più recente. Nel 1973, il biologo e chimico statunitense Herbert Boyer e il biochimico Stanley Cohen riuscirono a inserire un frammento del DNA (contenente alcuni geni) di un organismo in un plasmide batterico. I plasmidi sono particolari elementi di DNA batterico, capaci di trasferirsi dal batterio all’ambiente esterno o ad altri batteri, e viceversa, e anche di inserirsi (“integrarsi”) nella molecola circolare del cromosoma batterico.
I due scienziati, dopo avere ottenuto il plasmide ibrido, lo inocularono in un batterio, ottenendone l’integrazione nel patrimonio genetico di questo (DNA ricombinante); in tal modo, il microrganismo acquistò le proprietà dei geni estranei, come ad esempio la capacità di produrre una determinata sostanza. La velocità di riproduzione del batterio permetteva di ottenere rapidamente una colonia di cellule geneticamente identiche (dunque, un clone) e tutte caratterizzate dalla presenza del frammento di DNA estraneo.
Nel 1976 un giovane uomo d’affari, Robert Swanson, che lavorava presso un’importante compagnia della Silicon Valley, comprese il potenziale commerciale di questa innovativa tecnica di laboratorio, mediante la quale i microrganismi potevano essere usati come “fabbriche” in miniatura per la produzione di ormoni e proteine. Insieme con Boyer, nel 1976 rilevò la società Genentech Inc. e avviò un programma di ricerca per la produzione biotecnologica di molecole umane. Nel 1977 fu ottenuta per la prima volta una proteina umana, la somatostatina, il cui gene era stato inoculato nel batterio Escherichia coli. Nel 1978 fu sintetizzata insulina umana, la cui produzione fu in seguito affidata alla società Lilly; l’anno seguente la Genentech ottenne l’ormone della crescita, che mise in commercio dal 1985.

Agricoltura Industriale


Con l'avvento del modello produttivo industriale si è preteso di assimilare la produzione agricola a quella di una fabbrica, ottimizzando la produzione in funzione del solo profitto economico della vendita dei raccolti o dei prodotti trasformati. Siccome i costi di produzione sono minori se il lavoro da fare è ripetitivo e automatico, si è cercato di estendere ed omogeneizzare le aree coltivate, per renderle lavorabili con macchine sempre più grandi e veloci, riducendo il tempo e il personale necessario.

Questo processo ha subito una spinta gigantesca a partire dall'inizio del ventesimo secolo, e in pochi decenni ha causato un cambiamento così radicale dell'agricoltura, che oggi lo si chiama comunemente “rivoluzione verde”. Da piccoli campi agricoli, circondati da zone a riposo o selvatiche con una buona diversità animale e vegetale, si è passati a delle grandi monocolture.

Si sono sviluppate sostanze capaci di nutrire le piante anche sui suoli più sterili, si è cercato di ridurre la diversità a vantaggio di specie facili da omogeneizzare e sincronizzare, per avere raccolti massicci e con- centrati, poterli trasportare in grossi camion, trattare e trasforma- re in grossi impianti.

Per mezzo della clonazione, si è riprodotto un seme sempre identico (clone) sostituendolo alla varietà naturale di sementi e specie, con un impoverimento generale delle risorse agricole che erano state selezionate nella storia e che erano a disposizione dei contadini fin da quando l'agricoltura è nata. Nel mondo, diverse migliaia di varietà vegetali sono già scomparse, sostituite da monocolture che sono più facilmente attaccabili da parassiti e da malattie.

Queste sono basate su apporti di sostanze chimiche esterne all'ambiente naturale, sul lavoro di macchinari a grande richiesta di energia (carburante) e pochi interventi manuali. Così, industrializzando la produzione, la trasformazione e la commercializzazione, si è riusciti ad aumentare tantissimo la produzione e a ridurre i costi, dando vita al mercato mondiale delle derrate alimentari, con una concorrenza sempre più agguerrita, che ha continuato a spingere il processo per ridurre ancora i costi e raggiungere prezzi finali sempre più bassi.

A farne le spese, ovviamente, sono stati i piccoli produttori di tutto il mondo, soprattutto quelli che per mancanza di fondi da investire, di credito, di accesso alla tecnologia o al mercato sono stati spiazzati dalla concorrenza di prodotti che, magari dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri, arrivano sui loro mercati con prezzi bassissimi (dumping).

Per farci un'idea dell'ordine di grandezza che distanzia i due modelli agricoli, che chiameremo industriale e familiare, e delle dimensioni in gioco, passiamo a confrontare qualche dato (attenzione però: come abbiamo già detto, i fattori che influenzano la vita sono molti e molto variabili, i dati dipendono molto dall'equipaggiamento disponibile, dal terreno e dal clima). Su un miliardo e trecentomila contadini, al mondo esistono 28 milioni di trattori, cioè il 2% degli agricoltori lavora col sistema industriale al meglio della sua espressione: se ben organizzato, in queste condizioni un solo lavoratore può produrre fino a 2000 tonnellate di grano all'anno.

Dietro questa minoranza, ci sono circa 700 milioni di contadini che lavorano senza mezzi a motore (trattori o moto- coltivatori) ma dispongono di semi selezionati, fertilizzanti e pesticidi, e magari di animali da trazione: questi agricoltori riescono a produrre da 10 a 40 tonnellate di grano all'anno. Infine, ci sono circa 600 milioni di contadini che lavorano ancora con strumenti a mano, senza un giogo di buoi, senza semi selezionati, senza fertilizzanti e pesticidi. Quest'ultima categoria, che non dispone di cloni e sementi selezionate, ha in mano l'intero patrimonio della biodiversità agricola sopravvissuta alla rivoluzione verde, ma non se la passa molto bene: infatti può produrre circa una tonnellata di grano per ettaro all'anno.

Quasi sempre, i contadini meglio equipaggiati lavorano in imprese che dispongono anche estensioni di terra enormi, di migliaia di ettari, mentre quelli che fanno tutto a mano hanno terreni inferiori ad un ettaro, piccolissimi e quasi sempre inferiori alle superfici che potrebbero lavorare. Si capisce, dunque, che i secondi sono anche i più poveri.

Infatti, un campo di mais industriale ne contiene in media tremila familiari, e con lo stipendio di un solo operatore produce quanto un esercito di piccoli contadini. Insomma, l'agricoltura industriale genera profitti per una minoranza di grandi interessi mentre la povertà degli agricoltori è legata a questi disequilibri nella produzione e nella distribuzione della terra.


Produzione dei Farmaci


Un importante prodotto derivato dalle applicazioni biotecnologiche è la penicillina, la cui produzione fu iniziata durante la seconda guerra mondiale, a partire dalla muffa Penicillium, da Howard Florey e dai suoi colleghi dell’Università di Oxford, inizialmente su una scala molto ridotta. Il processo fu in seguito molto ampliato; attualmente, numerosi altri microrganismi vengono utilizzati per produrre un’ampia gamma di antibiotici di comune impiego (ad esempio, la streptomicina per il trattamento della tubercolosi). La richiesta di antibiotici è amplificata dal fenomeno della resistenza batterica, a causa del quale i batteri sviluppano ceppi resistenti a determinati antibiotici, il che rende necessaria la produzione di nuovi farmaci.
Altri composti a impiego farmaceutico vengono ottenuti con biotecnologie. I ricercatori sono oggi in grado di “programmare” i batteri perché producano vari tipi di farmaci, inserendovi geni di altri organismi che codificano per la sintesi di particolari sostanze. L’insulina umana viene, ad esempio, impiegata nella terapia del diabete ed è prodotta da batteri in cui, per mezzo delle tecniche dell’ingegneria genetica, è stato introdotto il gene che codifica per tale ormone. Diversamente dall’insulina ottenuta da vacche e maiali, la molecola prodotta dai batteri ha il vantaggio di essere identica all’insulina secreta dal pancreas umano.
Anche l’ormone della crescita umano (somministrato ai bambini che, altrimenti, avrebbero uno sviluppo corporeo ridotto) viene prodotto da batteri ricombinanti che portano il gene umano corrispondente. Esso, peraltro, non comporta rischi di contaminazione con patogeni, quali i prioni che causano la malattia di Creutzfeldt-Jakob, un pericolo reale quando l’ormone veniva ottenuto da organismi umani. Altri farmaci prodotti da microrganismi alterati geneticamente comprendono l’interferone, utilizzato nel trattamento dell’epatite B e di certe forme di cancro, e l’eritropoietina, somministrata ai pazienti affetti da insufficienza renale, al fine di sostituire i globuli rossi persi durante trattamenti di dialisi.
Un importante prodotto della biotecnologia è costituito dai vaccini. In questo settore, infatti, i ricercatori erano un tempo limitati a usare come vaccino ceppi indeboliti o uccisi del microrganismo responsabile di una data malattia (di solito virus, come nel caso dei due tipi alternativi di vaccino antipolio, usato per combattere la poliomielite), mentre oggi possono utilizzare le sostanze prodotte da batteri totalmente innocui geneticamente modificati. Ciò significa che all’interno di questi vengono introdotti i geni virali che codificano per la proteina virale che viene riconosciuta dal sistema immunitario umano; infine, la proteina viene inoculata nell’organismo umano, in cui, analogamente a un vaccino tradizionale, stimola la produzione di anticorpi contro il virus. Il vantaggio di questo metodo è che si ottiene un vaccino purificato (cioè formato esclusivamente dalla proteina virale) e più sicuro nei suoi effetti collaterali.
Questa tecnica facilita l’immunizzazione contro malattie per le quali finora non esistevano vaccini totalmente soddisfacenti e apre, inoltre, la strada alla produzione di vaccini che conferiscono simultaneamente protezione nei confronti di più organismi patogeni. Un vaccino ottenuto con tecniche di ingegneria genetica è già largamente in uso contro l’epatite B, mentre un altro sta contribuendo a ridurre l’incidenza della rabbia nelle popolazioni di volpi europee. La tecnica di produzione biotecnologica dei vaccini potrebbe portare alla messa a punto di un vaccino contro l’AIDS, a cui si sta lavorando dal 1994.







LA MONSANTO


Articoli e informazioni su una delle più grandi multinazionali
prodruttrice di OGM.



In USA, per aumentare la produzione di latte, viene somministrato ai bovini un ormone geneticamente modificato proprietà di Monsanto: danni sugli animale e rischi per la salute unama
Gran parte della produzione industriale di latte negli Stati uniti e in Messico utilizza un ormone per l'accrescimento del bovino chiamto rBGH - copia geneticamente modificata della somatotropina, ormone della crescita naturalmente prodotto dall'organismo animale -, proprietà della Monsanto e brevettato come somato-tropina bovina o Bst (nella sua sigla in inglese). Viene iniettato nelle mucche perché producano il doppio della quantità di latte, ma gli effetti sulla salute del bestiame è devastante e può avere conseguenze anche su chi quel latte e i suoi derivati consuma.
Questo perché il Bst provoca l'aumento nel latte del livello di un altro ormone, l'Igf-1 (Fattore di crescita insulino 1), conosciuto con il nome di somatomedina e che riveste, nei processi di crescita del bambino, un ruolo importantissimo mantenendo i suoi effetti anabolici anche in età adulta.
Studi recenti - alla cui elaborazione ha partecipato anche il dottor Michael Hansen, dirigente dell'Unione dei consumatori statunitensi - hanno dimostrato che l'aumento insolito di questo secondo ormone è correlato con l'aumento dello sviluppo di cancro al seno, alla prostata e al colon. Per Hansen, le mucche che ricevono l'rBGH, la somatotropina, sono soggette a un aumento significativo di patologie, tra cui mastiti e problemi di gestazione. Gli animali soffrono moltissimo e il latte contiene resti di antibiotici, pus e sangue a causa delle continue malattie e dei conseguenti trattamenti farmacologici. Quei residui provocano una maggiore resistenza agli antibiotici nei batteri che albergano nello stomaco e intestino di chi consuma il latte (e derivati) prodotto dalle mucche trattate. L'utilizzo del rBGH è proibito in Europa, Canada, Giappone, Nuova Zelanda e Australia, ma il suo utilizzo commerciale è consentito in Usa, Messico, centro e sud America, paesi che hanno ritenuto attendibili gli studi propinati dalla stessa Monsanto.

L'ormone per la crescita dei bovini è in circolazione negli Usa dal 1993 e, già all'epoca, la procedura per l'approvazione del suo utilizzo era stata costellata da irregolarità e segnali di relazioni sospette tra Monsanto e funzionari della Fda (Food and drug administration), l'ente del governo federale americano per il controllo sui cibi e sui farmaci, che però autorizzò la commercializzazione del rBGH e del latte prodotto da mucche con esso trattate. Nelle relazioni presentate dalla Monsanto alla Fda si dava conto del fatto che il bestiame si ammalava più spesso e che nel latte delle mucche trattate con rBGH si riscontrava un aumento significativo dell'ormone IGF-1. Ma nelle conclusioni la company escludeva che questo avrebbe potuto avere un impatto negativo sulla salute umana. Monsanto non è certo nuova a questo tipo di manipolazioni, lo ha fatto anche con altri studi che, attraverso test su topi di laboratorio, dovevano indicare l'eventuale tossicità di alcune varietà di patate e mais geneticamente modificate: nonostante gli evidenti risultati di pericolosità, in conclusione finiva sempre per considerarli non «importanti» per la salute umana, mentre revisioni ulteriori degli studi da parte di ricercatori indipendenti hanno sempre dimostrato il contrario.

Grazie proprio al lavoro di ricercatori indipendenti, i consumatori statunitensi sembrano cominciare a prendere coscienza dell'importanza della qualità degli alimenti che finiscono nei loro piatti e cominciano a chiedere più chiarezza. Dopo la divulgazione delle informazioni che dimostrano i rischi dell'ormone rBGH, alcune catene di supermercati come Kroger e Safeway, e gli Starbucks coffee, di fronte al calo delle vendite, hanno cominciato a promettere e garantire ai propri clienti di non commercializzare latte con ormoni artificiali. Non è poco, ma purtroppo bisogna credergli sulla parola, visto che negli Stati uniti non esistono etichettature che rendano noto al consumatore se un prodotto contenga o meno ormoni, organismi geneticamente modificati o altro.
Fonte: il manifesto.it - 27 ottobre 207

Contaminazioni OGM Monsanto-McDonald's


Greenpeace rivela tracce di contaminazione: dai laboratori
della Monsanto USA ai polli McNuggets in Inghilterra.

I prodotti dichiarati "GM-free" (senza organismi modificati geneticamente
OGM) richiedono nuove indagini e approfondimenti.

Un'inchiesta di Greenpeace, "Contrabbandare gli OGM di nascosto", ha
rivelato una traccia di contaminazione con Organismi Modificati
Geneticamente (OGM) che ci conduce dai laboratori della Monsanto USA ai
consumatori inglesi di pollo nei ristoranti McDonald's (il prodotto si
chiama McNuggets).
L'inchiesta evidenzia anche quale veridicita' possono avere le tanto
pubblicizzate dichiarazioni di catene di distribuzione, supermercati,
produttori e catene di fast-food di essere "GM-free" (senza organismi
modificati geneticamente).
La contaminazione con OGM inizia quando la soia geneticamente modificata da
Monsanto, coltivata negli Stati Uniti viene trasportata in Gran Bretagna
dalla Cargill, una societa' americana che e' la piu' grande compagnia di
trasporti di grano mondiale. Questi mangimi geneticamente modificati
vengono utilizzati per nutrire il polli della Sun Valley (il piu' grande
allevatore di pollame inglese) anche questa societa' e' di proprieta' della
Cargill.
Il piu' grande cliente della Sun Valley e' McDonald's
Jim Thomas attivsta di Greenpeace che si occupa della campagna sul cibo ha
dichiarato: "Molti pezzi grossi dell'idustria alimentare stanno dando vita
ad un mercato di cibo geneticamente modificato malgrado un rifiuto molto
esteso da parte dei consumatori. Le persone che hanno detto NO al cibo
geneticamente modificato criticando e polemizzando con le industrie
potrebbero poi invece ritrovarsi a comprare delle uova o consumare una
porzione di pollo McNuggets (McDonald's) senza sapere che sono contaminati
da OGM. Ciò che ha scoperto Greepeace è solo una delle tante catene di
rifornimento. Questa scia di cotaminazione si ripete continuamente, non
solo nell'industria del pollame, ma anche in quella dei suini, del latte e
del pesce".
La soia è il maggior prodotto di coltivazione esportato dagli USA. Trenta
milioni di ettari di coltivazioni sono stati piantati solo nel 1999,
Principalmente negli stati del Illinois, Ohio ed Iowa. Di questi, il 57%
dei raccolti erano una varietà di OGM di soia prodotta dai laboratori
Monsanto. La Monsanto vende la soia geneticamente modificata tramite
compagnie di semi, come la Cargill. Negli USA la soia GM viene mischiata
con la soia normale o durante il raccolto o nelle lavorazioni ed il
trasporto successivi. La soia della Cargill viene esportata via mare da New
Orleans ai maggiori porti Europei, ovvero, Rotterdam, Liverpool, Amburgo e
Barcellona.
A Liverpool, la Cargill e' proprietaria dell'unico frantoio di soia del
paese, nel bacino di Gladstone. Dopo che il amteriale e' stato lavorato,
l'olio estratto viene venduto per il consumo umano, mentre il resto
(genticamente modificato) va agli allevamenti come prodotto principale per
la nutrizione del bestiame: bovini, suini, pollame e pesce. In Gran
Bretagna il 60% della soia utilizzato per il bestiame viene dato ai polli.
Il più grande allevatore di polli in Inghilterra è la Sun Valley che ha i
suoi impianti nel Herefordshire, nel Galles del nord e nel Wolverhampton.
Sun Valley e' interamente di proprieta' della Cargill e attraverso i
prodotti di pollo marchiati Sun Valley il controllo/monopolio del cibo
geneticamente modificato e' completo, dai semi agli scaffali del supermercato.
La Sun Valley "è famosa" per i suoi cibi pre-confezionati / pre-cotti, come
il Sun Valley Garlic Butter Chicken Kiev (piatto tipico Inglese), e
dichiara che questo piatto (nella versione prodotta da Sun Valley) è il più
amato dagli inglesi ['The Nations favourite Kiev']. Comunque il più grande
cliente di Sun Valley è la McDonald's, la catena di ristoranti più grande e
più famosa del mondo, per la quale la Sun Valley produce i Chicken
McNuggets (bocconcini di pollo) e sandwich di pollo.
Un terzo dell'impianto Sun Valley di Balliol nel Wolverhampton è impiegato
per rifornire McDonald's.
Anche se McDonald's ha dichiarato che aspirano a non utilizzare i prodotti
geneticamente modificati. Ma quando si parla degli OGM come alimenti per il
bestiame McDonald's è meno entusiasta e meno spavaldo nel parlare di
"GM-free" . (insomma solo l'ultimo passaggio sarebbe senza manipolazione
genteica) [1]
Ma, come dichiara Thomas: "I clienti non vogliono scuse, ma vogliono cibi
senza tracce di contaminazioni GM. Molti altri commercianti si stanno già
muovendo in questa direzione, e anche McDonald's ha la stessa opportunità"s.
L'inchiesta sui mangimi geneticamente modificati è stata seguita dal lancio
di una grande campagna di Greenpeace per fermare la contaminazione di OGM
nella catena alimentare e del nostro ecosistema facendola passare
clandestinamente di nascosto attraverso i mangimi degli animali
d'allevamento.
[segue la descrizione di diverse azioni di Greenpeace in USA, Messico,
Francia e Germania contro l'esportazione di mangimi GM]
Greenpeace è contro l'inquinamento delle catene alimentari e ambientali,
causati dalle coltivazioni GM. I mangimi GM sono solo un altro passo verso
la contaminazione del nostro ecosistema. E ora di porre fine alla
coltivazione ed esportazione di questi organismi e insistere che gli
animali che danno la carne e i latticini abbiamo una dieta priva di OGM.
Note:
E' possibile vedere un piccolo film che illustra la contaminazione da
Monsanto a McDonald's su Greenpeace Digital, il nuovo web site di
Greenpeace UK -
http://www.greenpeace.org.uk -
[1] In una lettera a Greenpeace del 05.11.99, Mike Love, Direttore delle
Pubbliche Relazioni di McDonald's ha scritto: "Ci sono difficolta' nella
separazione all'interno della catena di rifornimento dei mangimi per
allevamento e per questo al momento non abbiamo dato direttive riguardo
ingerdienti GM nel mangime."
Cos'è la Monsanto?


La Monsanto è diventata famosa per la produzione dell'Agente Arancio, il defoliante tossico e cancerogeno usato nella guerra del Vietnam. Si è poi concentrata sui PCB, i pericolosi composti organoclorurati più nocivi del DDT.
Oggi, il grande business della Monsanto è quello biotecnologico: questa multinazionale controlla il 90 per cento dei brevetti di Ogm venduti nel mondo e ha effettuato grandi investimenti finanziari nel settore.
Il processo di concentrazione oligopolistica dell'industria biotecnologica interessa anche altre multinazionali impegnate in fusioni societarie fra giganti o nell'assorbimento di piccole aziende di ricerca e mette in serio pericolo l'agricoltura plurale e sostenibile, che comunque occupa il 50 per cento della forza lavoro mondiale.
La Monsanto è l'emblema di una politica commerciale sensibile soltanto alle sole logiche del mercato e indifferente alle molteplici conseguenze negative degli Ogm sul piano ambientale, sanitario e socio-economico.

Quali sono gli Ogm in commercio? E che caratteristiche hanno?

Il NO di consumatori e agricoltori al cibo Ogm ha limitato la sfera d'azione dell'industria a quattro colture principali, impiegate in maggioranza nella mangimistica e per l'impiego di fibre: soia, mais, cotone e colza.
I tentativi fatti per introdurre alimenti base come riso o frumento Ogm, si sono impantanati a causa del forte rifiuto da parte di consumatori e agricoltori.
L'industria biotech è finora riuscita a commercializzare Ogm con due sole caratteristiche: la resistenza agli erbicidi - circa il 70 per cento degli Ogm in commercio - agli insetti - circa il 20 per cento - e una combinazione di entrambe le resistenze per il rimanente.
Nessuno degli Ogm in commercio è in grado di garantire raccolti più abbondanti, qualità nutritive migliori, o resistenza a siccità, salinità o gelo. Tutte le mirabolanti promesse dell'industria biotech sono state disattese.
Dopo dieci anni di coltivazione di Ogm a livello commerciale, la gran parte di queste sono ancora concentrate in un piccolo numero di Paesi. Nel 2006, la gran parte delle coltivazioni Ogm erano concentrate in solo quattro Paesi: USA, Argentina, Brasile e Canada. Il 70 per cento delle semine avviene in USA e Argentina.

Ma perchè quando si parla di Ogm si parla così tanto di soia e di mais?


Circa il 60 per cento dei prodotti trasformati presenti sugli scaffali dei nostri supermercati contiene almeno un ingrediente che deriva dalla soia o dal mais. Il seme di queste piante è estremamente duttile e può essere usato in numerose applicazioni, sia nell'industria agroalimentare che in quella mangimistica. Queste caratteristiche rendono inoltre il mais e la soia particolarmente adatte alle esportazioni: sono un vero e proprio apripista della globalizzazione agricola.

Quali sono le caratteristiche della soia?


La soia è una proteoleaginosa perchè il suo seme è ricco sia di grassi che di proteine; l'iniziale estrazione delle sostanze oleose - utilizzate principalmente nei prodotti alimentari destinati all'uomo - lascia un sottoprodotto particolarmente ricco di proteine molto utili nell'alimentazione del bestiame.
A differenza del mais, la distinzione tra alimenti e mangimi è meno importante per la soia. Sia la farina che l'olio provengono dallo stesso processo di lavorazione: se l'intero mercato dell'olio di soia si orientasse verso l'esclusione degli Ogm, si otterrebbe lo stesso risultato anche per la farina di soia. L'olio - in particolare quando è sottoposto a processi di raffinazione intensi - non contiene né proteine, né DNA: è quindi impossibile sapere se un olio derivi da una fonte geneticamente modificata senza monitorare l'intera filiera attraverso un adeguato sistema di tracciabilità.



In quali alimenti si trova la soia?


La soia si trova in molti alimenti trasformati. I suoi derivati sono di uso comune sotto forma di farina, olio e lecitina. La lecitina è un emulsionante di provenienza quasi esclusiva dalla soia, mentre la dicitura "grassi vegetali" e "grassi vegetali idrogenati" nasconde – in quasi l'80 per cento dei casi – olio di soia. Nella mangimistica viene utilizzata sotto forma di farina o di pannelli di soia.


Quali sono le caratteristiche del mais?


Il mais è fondamentale per l'alimentazione del bestiame ed è usato nell'industria alimentare in molti prodotti di consumo, sotto forma di dolcificante - come sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio - amido o come fonte di etanolo (usato nella produzione delle bevande, oltre che dall'industria meccanica). Un sottoprodotto di molte delle lavorazioni menzionate è il glutine di mais, che viene usato come alimento degli animali negli allevamenti.



Gli Ogm sono tra gli alimenti più controllati, come i farmaci?


Il processo che porta al rilascio di permessi di commercializzazione di nuovi farmaci prevede una prima fase di studio di laboratorio alla quale segue il test sull'uomo, normalmente diviso in tre fasi, ciascuna delle quali può durare fino a quattro anni. Nonostante ciò, non è infrequente che possibili danni sfuggano alla valutazione preventiva e sia necessario ritirare i farmaci anche alcuni anni dopo la loro commercializzazione.
Anche per alcuni additivi alimentari le aziende produttrici devono presentare i risultati di ricerche che possono durare anche alcuni anni.
Per l'approvazione degli Ogm in campo alimentare, invece, si è sempre tentato di ricorrere ad un concetto pseudoscientifico, la sostanziale equivalenza. La tesi è che, modificando piccole porzioni di DNA, le caratteristiche dell'organismo non sarebbero comunque differenti da quelle degli organismi non manipolati.
In realtà, studi tossicologici condotti su animali alimentati con soia resistente all'erbicida Roundup Ready o con alcune varietà di mais Ogm, dimostrano differenze significative.
Per l'approvazione degli Ogm vengono forniti solo pochi, e spesso incompleti, studi a breve termine. Analisi di lungo periodo sugli effetti di questi prodotti transgenici sull'organismo umano e animale sono pressoché inesistenti.
Per questo è pura demagogia dire che gli Ogm sono controllati come i farmaci.




Se gli Ogm non sono sicuri, come mai gli americani li mangiano da dieci anni senza problemi?


Negli Stati Uniti, i cibi transgenici sono ben più numerosi di quelli presenti nel vecchio continente e sono sul mercato da oltre un decennio. I consumatori non possono scegliere perché non esiste un'adeguata etichettatura dei prodotti.
È difficile valutare gli impatti sanitari degli Ogm perchè tutta la popolazione è indistintamente esposta e manca un gruppo di controllo non esposto per effettuare una analisi di tipo epidemiologico. Solo attraverso uno studio così preparato si può riuscire a definire i cambiamenti indotti dal consumo di Ogm in campo alimentare.
L'impatto sanitario degli Ogm deve essere necessariamente valutato sulla base di studi di lunga durata, contrariamente a quanto viene richiesto dalla normativa sul rilascio dell'autorizzazione alla commercializzazione, che si accontenta di verifiche sperimentali limitate.
Sono inoltre sempre di più le evidenze scientifiche che correlano il consumo di Ogm all'insorgenza di ipersensibilizzazioni o di allergie. Queste patologie, già in netto aumento nelle popolazioni dei paesi industrializzati come conseguenza dell'abbassamento delle difese immunitarie e dell'esposizione ad agenti allergenici ambientali, rischiano di aggravarsi e moltiplicarsi a causa degli Ogm.
Chi sostiene che basta volgere lo sguardo verso gli USA per rassicurarsi sull'innocuità per la salute degli Ogm sottovaluta grossolanamente la complessità della questione oppure mente di proposito all'opinione pubblica.


Dove si utilizzano maggiormente gli Ogm?


I consumatori non vogliono gli Ogm. L'industria alimentare si è organizzata per fornire prodotti non-Ogm (sugli scaffali italiani non si trovano prodotti etichettati Ogm).
Banditi dagli scaffali dei supermercati, gli Ogm entrano nella nostra catena alimentare dalla porta di servizio dell'alimentazione animale. L'alimentazione zootecnica rappresenta il principale sbocco economico per le colture geneticamente modificate. Senza saperlo né volerlo, i consumatori – che hanno già detto NO agli Ogm nel piatto – continuano a consumarli per interposto animale.
Si devono bandire gli Ogm dalla mangimistica, in Italia e in Europa, per tutelare ambiente, biodiversità e salute.


Che rischi comportano gli Ogm nei mangimi?


Il rilascio in natura di Ogm può produrre effetti irreversibili sugli ecosistemi. Gli Ogm sono organismi viventi e possono riprodursi, moltiplicarsi e diffondersi, sfuggendo a qualsiasi controllo. Anche sulla sicurezza degli Ogm per l'alimentazione umana e animale ci sono seri dubbi. Ci sono sempre più evidenze che gli Ogm non vengono testati adeguatamente testati sul piano della sicurezza alimentare. La maggior parte degli studi più recenti sono studi di breve periodo realizzati in collaborazione con le aziende biotech.
I dossier che le aziende biotech sottopongono alle autorità competenti in cerca di autorizzazioni contengono, in genere, una composizione di dati e studi di breve termine sull'impiego di Ogm come alimenti per animali.
In molti di questi studi, vengono osservate importanti differenze nella composizione della piante Ogm rispetto a quelle non-Ogm (es. contenuti vitaminico), e nelle risposte degli animali (es. livello di glucosio), ma spesso queste osservazioni vengono definite "non di rilevanza biologica" dalle aziende biotech e poco dopo dalle autorità competenti.
Per questo motivo, i regolamenti sull'approvazione degli Ogm sono in molti casi un fallimento. Non sappiamo se gli Ogm sono sicuri per l'alimentazione umana o animale. E questo si riflette su una continua controversia scientifica e politica sulla sicurezza degli Ogm.

Quanto sono diffusi gli Ogm nei mangimi?


Oltre il 90 per cento degli Ogm importati in Europa sono soia e mais destinati alla mangimistica. La dieta degli animali che alleviamo è composta fino al 30 per cento da Ogm: questo vuol dire che, ogni anno, 20 milioni di tonnellate di Ogm entrano nella catena alimentare degli europei, all'insaputa dei consumatori e senza che si possa esercitare il diritto di scelta.


Cosa c'entra il Parmigiano–Reggiano con gli Ogm?


Come recita lo stesso sito web del Consorzio Parmigiano-Reggiano: "Il Parmigiano-Reggiano ha un legame imprescindibile con la sua zona di origine. […] In questa zona, dai foraggi naturali e dall'uso di latte crudo, senza l'aggiunta di nessun additivo, ha origine il segreto di tanta bontà."
Negli ultimi anni però, fra i foraggi naturali, si è insinuata la soia transgenica della Monsanto - la soia Roundup Ready, in grado di sopportare massicce dosi di erbicida Roundup. Questa soia è diventata parte integrante dell'alimentazione dei bovini che forniscono il latte ai caseifici di trasformazione: una trappola, che mette a rischio sia la qualità che il futuro di uno dei formaggi più amati e apprezzati.
In un contesto europeo e mondiale dove sempre più spesso i prodotti italiani di qualità vengono copiati o camuffati, la garanzia di sopravvivenza è data dalla qualità e dalla sicurezza al 100%. Il Parmigiano-Reggiano ha alle spalle otto secoli di storia e tradizione. Oggi, la sua "genuinita" è minacciata dalla comparsa degli Ogm nella sua filiera di produzione.


Ci sono alternative per il Parmigiano-Reggiano?


Si! Le alternative esistono e possono essere adottate in tempi relativamente brevi.
Già oggi tutti i produttori di Parmigiano-Reggiano biologico garantiscono un prodotto senza Ogm, utilizzando materie prime - mangimi compresi - derivanti da agricoltura biologica. Diversi allevatori aderenti al Consorzio hanno inoltre già espresso la propria volontà di utilizzare solo mangimi senza Ogm, per poter continuare a produrre un latte sicuro al 100 per cento, senza l'uso di Ogm.
Ma è possibile eliminare gli Ogm anche da tutto il resto della produzione. La soia certificata non-Ogm è disponibile in quantità sufficiente non solo per tutta la produzione del Parmigiano-Reggiano, ma per l'intero fabbisogno italiano.
Si può inoltre lavorare per integrare il sistema con ingredienti proteici alternativi alla soia, prodotti direttamente in Italia, utilizzando colture quali il lupino, l'erba medica, il favino, il pisello e altre leguminose tipiche dell'area mediterranea.


La soia non-Ogm costa di più?

Il costo della soia certificata non-Ogm è regolata dalle leggi del mercato: se la domanda cresce e si organizza, i prezzi si abbassano. Mediamente la differenza di costo tra la soia "non garantita" e quella certificata non-Ogm è di pochi euro alla tonnellata.
La soia è solo una delle materie prime utilizzate. E il mangime influisce solo in parte sul costo finale del latte utilizzato nella produzione del Parmigiano-Reggiano.
Se le diverse realtà della filiera riuscissero a coordinarsi per effettuare acquisti organizzati, si annullerebbero le differenze a favore di una qualità – e di sicurezza – a tutti i livelli.
In questo contesto è auspicabile la collaborazione delle controparti istituzionali.: l'Emilia-Romagna fa già parte del rete europea delle regioni Ogm-free e - tra queste - la regione francese della Bretagna ha già stretto accordi commerciali con lo stato del Paranà - uno dei maggiori produttori di soia non-Ogm del Brasile - per acquisti di soia non transgenica.


Cos'è il Consorzio del formaggio Parmigiano-Reggiano?

Il "Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano" nacque per tutelare "la Denominazione d'Origine, l'agevolazione del commercio e del consumo promuovendo ogni iniziativa rivolta a salvaguardare la tipicità e le caratteristiche peculiari del prodotto."
Ancora oggi, i compiti del Consorzio sono di: verificare che il Parmigiano-Reggiano venga fatto secondo le regole stabilite dal Disciplinare di produzione; tutelare il Parmigiano-Reggiano dalle sue imitazioni; promuovere e diffonderne la conoscenza e il consumo; perfezionare e migliorare la qualità del Parmigiano-Reggiano per salvaguardarne la tipicità e le caratteristiche peculiari.
Al Consorzio sono anche affidati gli incarichi della apposizione dei marchi e contrassegni del formaggio Parmigiano-Reggiano come segni distintivi della conformità al Disciplinare della Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.), attestata dalla struttura di controllo.
Al Consorzio fanno capo le oltre 4.000 aziende agricole che conferiscono il latte ai quasi 500 caseifici di produzione, per un totale di oltre 3.000.000 di forme prodotte annualmente.

Cos'è il "Disciplinare" di produzione?

Il "Disciplinare" stabilisce le modalità per l'alimentazione dei bovini che producono latte destinato alla produzione di Parmigiano-Reggiano. Con le specifiche per la provenienza, l'uso e la quantità di foraggi e mangimi ammessi.
È una grave mancanza che nel disciplinare non sia espressamente vietato l'uso di Ogm.

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