mercoledì 21 novembre 2007

Ecco come coltivare OGM in Italia

L'intera catena di lavoro separata dalle culture tradizionali, critici gli ambientalisti
Le tute di lavoro, le vanghe, le macchine per la semina, le trebbiatrici, i camion: l'intera catena di lavorazione dell'agricoltura transgenica dovrà essere rigorosamente separata per evitare il rischio di una contaminazione dei campi convenzionali e biologici. L'ogm dunque entrerà in Italia in "regime di apartheid": dovrà muoversi in un circuito privo di punti di contatto con gli alimenti tradizionali.Ma questa separazione funzionale non è sufficiente. Occorrerà anche lasciare uno spazio, una barriera fisica: per il mais ci vorranno 200 metri di distanza da un campo convenzionale e un chilometro da un campo biologico; per la soia si scende rispettivamente a 50 e a 200 metri. Questi limiti potranno essere aggirati se a fare da scudo ci saranno almeno 10 file di piante convenzionali, che verranno vendute come biotech presupponendo che possano venire contaminate. Per la colza invece è scattato il disco rosso: l'impollinazione involontaria di specie simili in natura è stata provata (l'ultimo studio è quello inglese che ha documentato gli incroci con la senape selvatica) e quindi in Italia non potrà essere coltivata.Sono queste le linee guida preparate dal Comitato scientifico istituito dal ministero delle Politiche Agricole per orientare l'attività delle Regioni.
Il testo verrà presentato ufficialmente a settembre ma la sostanza è ormai decisa. Anche se ieri sera il ministro Gianni Alemanno ha precisato che il provvedimento non è definitivo e sarà messo a punto in sede di Conferenza Stato-Regioni.Nonostante le assicurazioni di Alemanno ("le linee guida saranno ispirate al principio di precauzione"), il fronte ambientalista è già sul piede di guerra. Per Federica Ferrario, di Greenpeace, si tratta di disposizioni che non offrono sufficienti garanzie: "Si pensa davvero che gli insetti impollinatori possano venire fermati da dieci file di piante convenzionali? Ed è credibile limitare a poche centinaia di metri il raggio di rischio?". Critica anche la Legambiente che ritiene il sistema dei controlli talmente complesso e costoso da rendere molto probabile la violazione delle norme di sicurezza. Secondo Andrea Ferrante, presidente dell'associazione biologica Aiab, "l'unica coesistenza possibile è il divieto di introdurre colture geneticamente modificate sul territorio, mentre con queste linee guida si apre un varco gravissimo per la tutela dell'agricoltura di qualità". In realtà l'atto del ministero delle Politiche agricole è obbligato: il via libera ad alcune colture transgeniche è stato deciso in sede europea. Ma contemporaneamente è stato anche deciso che le colture tradizionali vanno salvaguardate. Mantenere questo doppio impegno potrebbe rivelarsi molto difficile e il conflitto che si sta aprendo lo dimostra. Per il senatore dell'Udc Maurizio Ronconi i commenti degli ambientalisti costituiscono una forma di "terrorismo mediatico: il Parlamento avrà tutto il tempo per valutare con serenità e serietà il contenuto del decreto".Ma le preoccupazioni nel mondo agricolo, che rischia di vedere compromessa l'intera filiera della produzione convenzionale, il circuito del biologico e i prodotti di qualità, continuano a crescere. "Le informazioni scientifiche sui confini della possibile contaminazione sono contraddittorie", ricorda Stefano Masini, responsabile ambiente della Coldiretti. "Per questo proponiamo una moratoria di due anni: mobilitiamo la comunità scientifica in modo da ottenere un quadro affidabile. A quel punto potremo decidere con serenità il da farsi".Incerto è anche il ruolo delle Regioni, competenti in materia agricola. Quindici si sono già dichiarate ogm free e altre tre stanno prendendo in considerazione un passo analogo. Accetteranno l'introduzione delle colture transgeniche?Fonte: LaRepubblica (05/08/2005)

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